Il gossip di Rockspia: Scacchi, Shougi e ragionamenti becero-sessisti
Quando si parla di sport competitivi è difficile non paragonare risultati fra giocatori o, addirittura, categorie di giocatori. Metodo, tattiche, strategie ma anche studio e costanza sono elementi distintivi determinanti: nessuno che voglia giocare a Scacchi (o a Shougi) bene può prescindere da questo, pena dover reinventare la ruota ogni partita e a regalare all’avversario ogni sorta di vantaggio. Conoscere in maniera approfondita le aperture, identificarne e sfruttarne i punti deboli, avere le idee chiare e usare la migliore tattica per attuare la strategia su cui si vuole orientare almeno parte della partita, sono elementi che, senza dubbio alcuno, favoriscono chi di queste qualità ne fa culto.
Paragonando i risultati ottenuti da uomini e donne in questi due sport competitivi è estremamente difficile non scivolare nel becero sessimo: infatti, come altrimenti si può giustificare due tendenze così diverse se gli elementi a disposizione per poter emergere e migliorare sono disponibili a tutti senza censure preventive? La tentazione è forte ma, a parer mio, ingannatrice.
E allora quali altri elementi sono in ballo? Personalmente ne aggiungerei almeno tre: l’aggressività, la propensione nel voler rischiare il tutto per tutto anche senza sufficienti garanzie e il fatto che lo Shougi come gli Scacchi sono giochi a tempo. Anche se entrambi i giochi potenzialmente presentano una enorme varietà di mosse, probabilmente per i giocatori di alto livello la capacità di sintesi, la sensazione che una certa scelta possa condurre a dei buoni sviluppi può essa stessa favorire il buon esito della partita e questo in funzione del tempo risparmiato. Certo, lo sfondo sessista rimane ma con una differenza fondamentale: è il gioco in sé che sembra preferire e a premiare chi, al presentarsi di un’opportunità, a parità di abilità e intelligenza si dimostra più aggressivo, disponibile all’azzardo e fiducioso nei propri mezzi. Un atteggiamento che storicamente e culturalmente è più frequente fra i maschi. Ma sarà davvero così?
Nel mondo degli scacchi ci si domanda chi sia (o sia stato) in assoluto il più grande di tutti. Nel maschile, a seconda dell’epoca e della nazione in cui si pone la domanda, la risposta varia. Nel femminile la risposta però è quasi unanime: per molti è stata Judit Polgar di nazionalità bulgara e la terza di tre sorelle. Tanto per inquadrarne la forza, nel periodo di massimo fulgore (durato peraltro per 25 anni consecutivi), il suo punteggio ELO era di 150 punti maggiore della seconda in classifica: un’enormità. Lei non concorse mai per il titolo mondiale femminile e preferì inseguire quello assoluto raggiungendo però al suo massimo l’ottava posizione al mondo. Judit Polgar stessa ha sempre affermato che “(noi donne) siamo capaci a lottare tanto quanto un uomo, e penso di averlo ampiamente dimostrato nei decenni in cui ho giocato a scacchi attivamente. Non è una questione di genere, è una questione di essere intelligenti.“. Per lei quindi il sessismo, ancora una volta, è un falso problema anche se dovette combatterlo per tutta una vita e con enorme soddisfazione quando, fra gli altri riuscì a sconfiggere Nigel Short, Anatoly Karpov e Garry Kasparov, tutti nel periodo di loro massimo fulgore, i quali (ma di sicuro non i soli) avevano espresso pesanti pregiudizi in merito.
Nello Shougi, statisticamente il divario prestazionale, il solco fra i giocatori e le giocatrici è ancor più marcato… ma questo lo vedremo la prossima volta quando si parlerà di Kana Satomi.
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